La vera portata del processo telematico. Intervista a Carlo Piana

L’avvicinarsi inesorabile del passaggio al processo civile telematico ci obbliga a fare qualche riflessione, anche di carattere non strettamente tecnico, su quella che sarà probabilmente una delle più importanti innovazioni nel campo della giustizia dell’era moderna. Un cambiamento di cui però pochi mostrano di aver colto la realte importanza e la portata rivoluzionaria. Il mondo forense è davvero pronto? Quali saranno le principali ripercussioni di questo passaggio?

Ne discutiamo con Carlo Piana (nella foto), avvocato e amico, fondatore di Array, che si occupa da vicino di Processo Civile Telematico per conto di uno dei principali fornitori di servizi ed è uno dei massimi esperti di ICT law in Italia.

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1) I giorni mancanti al fatidico 30 giugno si stanno sempre più assottigliando e da più parti è stato confermato che non ci sarà alcuna proroga. Eppure da un sondaggio che ho lanciato qualche settimana fa è emerso che pochi sono gli avvocati che ritengono credibile quella scadenza. L’ipotesi più probabile sembra essere quella di una situazione caotica e disomogenea, in cui ogni tribunale si darà proprie regole e proprie prassi. Tu come la vedi?
Che ci sarà caos è inevitabile, che ogni Tribunale faccia un po’ come gli parrà anche. Tuttavia il pallino è in mano alla Direzione Generale Servizi Informativi, che sta facendo di tutto per portare avanti il progetto nei tempi sperati. Confesso che faccio il tifo per loro, perché i risparmi per il sistema giustizia sarebbero enormi. A meno di catastrofi, non vi sarà nessuna proroga generalizzata. Il che, data la situazione, sarà scioccante.
Purtroppo il difetto, come si dice, sta nel manico. Ho l’impressione che il sistema sia stato concepito in maniera da soddisfare più le esigenze dei fornitori che quelle dell’utenza. Ne è nato un sistema farraginoso, poco stabile e in alcuni punti difettoso. Temo che con il carico di lavoro a regime scopriremo cose spiacevoli, il tutto nonostante rilevanti cifre investite, anche in assistenza e manutenzione evolutiva, purtroppo non sempre in maniera del tutto efficiente.  I dati sono pubblici, magari un giorno qualcuno si farà le domande giuste. Si tratta di un retaggio del passato a cui l’attuale dirigenza sta cercando di rimediare, ma è difficile farlo mentre si insegue l’emergenza, in un periodo di vacche relativamente magre.
2) Parlando con vari colleghi non proprio amanti delle innovazioni derivanti dall’informatica giuridica quello che sembra emergere è un atteggiamento di ritrosia verso il concreto passaggio ad una giustizia digitale. In altre parole sembra che l’uso delle tecnologie sia percepito dagli avvocati (ma anche da giudici e cancellieri) più una scocciatura che un’opportunità. Sei d’accordo? Da cosa pensi possa dipendere?
Non vi è dubbio che qualsiasi cambiamento che comporti una modifica del proprio modo di lavorare incontra difficoltà di adattamento. Gestire il cambiamento in una fase di migrazione, soprattutto da un punto di vista psicologico e comportamentale è una delle componenti più difficili di ogni progetto simile. Figuriamoci poi in uno dove gli attori non sono dei semplici dipendenti, ma attori protagonisti. Ma siccome il sistema è lì per aiutare il cittadino, e non viceversa, questa non è affatto una ragione per sabotare il cambiamento, come mi pare da più parti stia avvenendo. Anche da parte di giudici che emettono sentenze cervellotiche, alcune anche da me pesantemente commentate e criticate, le quali non hanno fatto altro sin’ora che indurre una situazione di “paura, incerezza, dubbio”.
3) A mio avviso in pochi, anche tra gli esperti del settore, hanno colto la vera portata rivoluzionaria del passaggio al PCT, il quale non avrà riflessi solo sugli uffici giudiziari (aspetto su cui invece spesso ci si sofferma) bensì anche e soprattutto sugli studi legali. D’altronde, se gli atti di causa diventano digitali e trasmessi necessariamente in via telematica, anche la documentazione interna allo studio (fascicoli, comunicazioni, mezzi di prova…) diventerà tendenzialmente digitale. Questo inciderà pesantemente sul modus operandi quotidiano degli avvocati. Quali pensi saranno le concrete ripercussioni per gli avvocati?
Adattarsi o perire. E’ scioccante come nel 2014 molti usino il computer solo come una macchina da scrivere, e a volte facendolo fare ai collaboratori. Hai ragione, soprattutto da parte degli avvocati, qualcuno non ha ancora capito che la professione come la conoscevamo, anche solo quando ho iniziato io, poco più di vent’anni fa, non esiste più. I clienti sono cambiati, la concorrenza è cambiata, le esigenze della professione sono cambiate. Non comprendere che la professione è un servizio che deve trasmettere efficienza in tutte le sue componenti e che i privilegi degli avvocati sono finiti da un pezzo è da folli; il mercato spazzerà via gli inefficienti, ed è giusto che sia così.
Ciò vuol dire che i più pronti hanno a disposizione spazi di mercato impensabili. Anche in una situazione dove non ci sono più praterie, ma piccoli appezzamenti da sfruttare, chi si dà da fare è avvantaggiato.
4) Quindi sostanzialmente è una questione di cambio generazionale…
Non è solo una questione generazionale. La differenza sarà tra chi è capace di guidare la complessità delle tecnologie e usare in modo innovativo gli strumenti per cambiare i processi, e chi si limiterà a subirli passivamente, come una sciagura. Lì si gioca il futuro della nostra professione. Su questo terreno, non su disposizioni stupide come quelle in tema di minimi di tariffa e preventivi scritti, formazione permanente, specializzazioni che guardano la realtà dallo specchietto retrovisore o le altre baggianate che ci hanno propinato in questi anni, si svolgerà la lotta per la sopravvivenza tra gli avvocati.
5) In un panorama in cui gli atti di causa verranno interamente depositati in modalità telematica, che fine faranno tutti gli studi che vivono in buona parte grazie sulle domiciliazioni?
Se l’eliminazione delle pure domiciliazioni si traduce in minori costi per il cittadino, è un punto di efficienza dell’intero sistema. Se la loro opera continua ad avere un significato economico per i dominus, essi continueranno a svolgere un ruolo e a ricevere istruzioni anche se il loro intervento non è obbligatorio. Altrimenti è giusto ed efficiente che gli studi che vivono di tale inefficienza siano costretti a trovare altri servizi o a chiudere.

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Articolo uscito su LaLeggePerTutti il 23 aprile 2014 (vedi).


Commenti

Claudio Anastasio ha detto…
Condivido ogni virgola dell'analisi dell'Avv. Carlo Piana, oggettivamente ai fatti è così. Tuttavia sotto l'aspetto tecnico (per gli addetti ai lavori) il vero scoglio è l'art. 4 comma 2 del DPR 68/2005 e la recente sentenza di legittimità della Suprema Corte di Cassazione che ha reso NON VALIDI gli atti di impugnazione degli avvocati a mezzo di posta ibrida raccomandata. Per questo tNotice ha raccolto forte interesse dalla Camera dei Deputati e dal Ministero della Giustizia, perché è la nuova tecnologia che risolve i limiti genetici delle comunicazioni a firma in formato digitale e si innesta naturalmente nel processo telematico. Tutto cambia, la resistenza culturale è forte, ma l'innovazione ancora di più.
Pietro Calorio ha detto…
Analisi acuta, da profondo conoscitore delle dinamiche dell'informatica giudiziaria. Sottoscrivo ogni parola!