Uber va trattata come una società di taxi e non come una "startup" tecnologica

La Corte di Giustizia UE ha fatto a UBER un regalo di Natale che rimarrà abbastanza indigesto.
Ve la faccio breve, dato che siamo davvero a ridosso delle feste e la vostra attenzione sarà legittimamente rivolta ad altro. Anch'io avevo già fatto gli auguri di Natale pensando di tornare a scrivere su queste pagine dopo la pausa, ma la vicenda è troppo "gustosa" per non darle il rilievo che merita.
photo: Núcleo Editorial/Fernando Oda - licenze CC BY

Mercoledì scorso (20 dicembre) la massima corte europea ha emesso la sentenza del giudizio C-434/15 che vedeva contrapposte un'associazione di categoria dei tassisti spagnoli (Asociación Profesional Elite Taxi) e la Uber Systems Spain SL, in merito al servizio noto come UberPop o UberX.

Come emerge dal comunicato stampa ufficiale,
secondo la Corte un servizio di intermediazione come quello di cui trattasi nella causa principale, il cui scopo è quello di collegare, tramite un'applicazione per smartphone e a pagamento, conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo per persone che desiderano effettuare tragitti urbani, devono essere considerati intrinsecamente legati a un servizio di trasporto e, di conseguenza, devono essere classificati come "servizio nel settore dei trasporti" ai sensi del diritto dell'UE. Perciò un simile servizio deve essere escluso dalla sfera della libera prestazione dei servizi in generale, nonché della direttiva sui servizi nel mercato interno e dalla direttiva sul commercio elettronico.
Già nel maggio del 2015 l'amico e collega Carlo Piana si era occupato di una simili vicenda giudiziaria che aveva portato la fetta italiana di Uber di fronte al Tribunale di Milano. Scriveva Carlo nell'articolo intitolato "Su Uber Pop hanno ragione i tassisti. Purtroppo":
Uber è un esempio di economia “peer-to-peer” (i fornitori sono cittadini comuni) intermediata da un fornitore di servizi, dove i servizi “professionali” sono quelli di piattaforma, che triangola i servizi offerti da un terzo e li mette in comunicazione con potenziali clienti di tale servizio. In ciò Uber non è molto diverso da Ebay, con una differenza: tutte le modalità di servizio sono concepite e organizzate da Uber, mentre su Ebay l'intervento della piattaforma è quello di un facilitatore di strumenti giuridici/commerciali già esistenti (aste, vendite). La cosa ha un rilievo, perché per legittimare un provvedimento di concorrenza sleale, occorre che il destinatario dell'ordine sia un concorrente. Su questo il Tribunale ha apparentemente giudicato che Uber non è un semplice fornitore di servizi resi da altri, ma è un organizzatore di un servizio che organizza e promuove come se fosse proprio, le cui tariffe sono fisse e delle quali incassa una parte. Anche se i fornitori ultimi del servizio sono indipendenti.
Insomma, una bella botta per Uber e una storica vittoria per i tassisti che anche in sul territorio iberico sono riusciti a riaffermare la legittimità della loro posizione di "monopolio", se così la possiamo definire. Ma soprattutto un precedente giurisprudenziale pesante per la miriade di operatori di quella che viene comunemente definita "new economy", i quali dovranno adesso fare i conti con un inquadramento giuridico (e magari anche fiscale) non proprio favorevole.
Qualcuno ha provocatoriamente segnalato che questa sentenza smaschera il grande bluff di Uber (si veda l'articolo "Uber is finally getting called on its biggest bluffs" di Alison Griswold), sollevando il dubbio se servizi come quello in questione abbiano un po' approfittato dell'effetto novità e della fisiologica difficoltà di inquadrare fenomeni innovativi nelle categorie previste dal diritto.

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